CRITICA:
Pino Tinnirello è un siciliano trapiantato al Nord.
E’ nato in un grosso centro agricolo della Sicilia Orientale, Niscemi, a 20 km. Da Caltagirone, città della ceramica, delle maioliche e delle terrecotte.
A Caltagirone c’è una rinomata Scuola d’Arte che, negli ultimi decenni, ha diplomato frotte di giovani che si sono formati nei laboratori di veri ed autentici maestri d’arte.
Non è il caso di Pino Tinnirello.
Autentico autodidatta, di formazione letteraria. Ha svolto, e continua a cimentarsi quotidianamente, con pratiche amministrative. Con il Comune di Niscemi fino a qualche anno fa; con quello di Como attualmente.
Ma la passione per la letteratura, per l’arte, per la scultura l’ha portato ad intraprendere un percorso artistico faticoso, molto faticoso, ritagliando ogni momento del suo tempo libero e dedicandolo all’impasto, al modellamento, alla forgia di qualsiasi materiale che potesse creare, con paziente tenacia, una figura, un’immagine, capaci di liberare tensioni ed emozioni.
Ogni qualvolta ho visitato il luogo angusto dove lavora, mi è venuto in mente un aneddoto dello vita di Niccolò Machiavelli, il famosissimo “segretario fiorentino” al servizio dei potenti della prima metà del Cinquecento. Famoso per aver, forse suo malgrado, dato vita a quella corrente di pensiero politico del “fine giustifica i mezzi”.
Ebbene, a sera, quando finiva il suo lavoro di segretario, si ritirava nel suo studiolo in una soffitta, si liberava dalla livrea ufficiale, indossava gli abiti damascati e si predisponeva al suo lavoro di studioso e di grandissimo scrittore.
Gli ultimi lavori di Pino Tinnirello sono rigorosamente eseguiti in terracotta.
Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento proprio a Caltagirone ci fu una fioritura di opere in terracotta, dovuta, soprattutto, all’opera di Giuseppe Di Bartolo, di Enrico Vella e di Giacomo Alì. Ma, dopo la loro morte, questo filone materico venne abbandonato.
Ora ci viene proposto da Pino Tinnirello che ripercorre momenti interessanti, con qualche ansia di rinnovamento, richiamando alla memoria, nelle metafore e nei linguaggi, antiche civiltà amalgamate alle tensioni di un presente tutto volto al postmoderno.
I “Geroglifici”, bi e mono facciali, testimoniano la scrittura figurativa degli antichi egizi che, nell’antica tradizione attribuisce alla scrittura sia l’origine divina quanto una forza attiva. La traccia del passato non come staticità ma come forza propulsiva per una lettura contemporanea della nostra realtà
I “Paesaggi planetari”, ci riportano alla terra, patrimonio genetico dell’artefice-artigiano, e testimoniano la memoria dell’antico lavoro.
E così le “Meridiane”e le sculture “Forza di gravità”.
Sono opere che inducono alla meditazione sulle prospettive della vita.
Segni, metafore, allegorie, simboli affidati ad un processo concettuale che coinvolge le sane curiosità del lettore.
Le “donne con liuto”, sembrano voler accogliere, nella sua concavità, tutte le problematiche legate al loro, e al nostro, mondo. Quelle di ieri e, soprattutto, quelle di oggi.
Certo le nostre sono letture mediate dalle nostre conoscenze, sicuramente parziali e di parte.
Come affermava Paul Valery non è facile decodificare quella “…sorta di intimità stretta tra l’opera che si forma e l’artista che vi si applica”.
Ma questo lo lasciamo alla libertà di altri lettori, speriamo siano molti perché questo artista merita maggiori e più competenti attenzioni.
Rosario Antonino Rizzo